La Corte Costituzionale ha emesso una sentenza significativa riguardante le politiche abitative della Regione Veneto. Il caso è stato sollevato da tre cittadini extracomunitari, assistiti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Razzismo Stop e Sunia, che hanno contestato il requisito di residenza minima di cinque anni per l’accesso alle graduatorie delle case popolari. Secondo il tribunale di Padova, tale requisito viola i principi di ragionevolezza ed eguaglianza sanciti dalla Costituzione italiana.
Dall’accesso negato al riconoscimento dei diritti
Nel 2022, i tre richiedenti, residenti in Veneto ma non per il periodo richiesto, erano stati esclusi dai bandi per l’assegnazione di alloggi popolari. La normativa del 2017, che imponeva questa condizione, è stata ora revocata per la sua incongruenza con il diritto all’abitazione, considerato inviolabile dalla Consulta. Tuttavia, resta in vigore il requisito di residenza anagrafica nel Veneto alla data di scadenza del bando.
Una decisione divisiva
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha espresso disaccordo con la sentenza. Zaia ha difeso la norma originale, sostenendo che fosse concepita per premiare chi sceglie di costruire un futuro duraturo in Veneto, indipendentemente dalla nazionalità. La legge, secondo lui, mirava a favorire l’integrazione e il senso di comunità piuttosto che l’esclusione.
La difesa dei diritti umani e la politica regionale
Questa decisione della Corte Costituzionale pone un importante precedente sui diritti umani e sulla politica abitativa. Mostra un bilanciamento tra la tutela dei diritti fondamentali degli individui e le prerogative regionali di gestione delle risorse pubbliche. È chiaro che la questione solleva interrogativi complessi su come meglio equilibrare questi interessi, spesso in conflitto.