“Oggi essere ebrei in Italia è un peso”. Così si apre la lettera firmata da Federica Iaria, vicepresidente dell’Associazione Italia Israele Scaligero Estense (AIISE), che interviene con forza nel dibattito pubblico scaturito dagli ultimi sviluppi della guerra tra Israele e Hamas. Le sue parole, rivolte ai media, alle istituzioni e all’opinione pubblica, nascono dalla percezione crescente di una delegittimazione sociale e culturale della presenza ebraica in Italia, alimentata da slogan unilaterali, disinformazione e indifferenza.
La denuncia: “Il marketing batte la realtà”
Iaria accusa apertamente l’amministrazione comunale di Verona di aver sposato narrazioni parziali e slogan forti come “Stop Genocide”, proiettati sui maxi schermi dell’Arena di Verona durante un evento con 15.000 spettatori, ignorando completamente il contesto del conflitto e le atrocità perpetrate da Hamas. In particolare, critica il sindaco Damiano Tommasi per essersi dichiarato “super partes” rifiutando, a suo dire, di condannare il massacro del 7 ottobre 2023 in Israele o anche solo di accendere un simbolico nastro giallo per i bambini ostaggio di Hamas, come il piccolo Kfir Bibas.
“I sudari per Gaza, ma nessuna parola per gli ostaggi israeliani”, osserva Iaria, evidenziando quella che definisce una disparità narrativa costruita per consenso politico e facile retorica.
Il problema della disinformazione e della propaganda
La lettera punta il dito anche contro la qualità delle informazioni diffuse sui media: immagini non verificate, foto riciclate da altre crisi umanitarie (come lo Yemen), dati parziali o interpretati strumentalmente per alimentare una visione monodirezionale del conflitto. A farne le spese, secondo Iaria, è la verità dei fatti e, con essa, la possibilità di una riflessione pubblica lucida.
“Le sfumature sono difficili da cogliere per l’opinione comune. È più facile avere un unico colpevole”, scrive, denunciando il fatto che Hamas venga sistematicamente rimosso dall’equazione pubblica: la popolazione palestinese viene raccontata come interamente vittima, ignorando – secondo la vicepresidente – le oppressioni interne, le minacce ai civili e la gestione violenta degli aiuti umanitari da parte dell’organizzazione terroristica.
Antisemitismo, antisionismo e silenzio istituzionale
In un passaggio centrale, Iaria denuncia l’indifferenza crescente verso le aggressioni a cittadini ebrei, come nel caso di un turista aggredito in un autogrill “davanti al figlio”, insultato e cacciato con slogan razzisti e violenti. Secondo l’autrice, l’antisionismo mascherato da attivismo per i diritti umani ha ormai valicato i confini del dibattito legittimo per trasformarsi in odio indistinto verso gli ebrei.
“Nazionalità e religione non sono nemmeno distinti da chi grida ma non sa”, afferma con amarezza, sottolineando il pericolo di una semplificazione che disumanizza e marginalizza.
Un appello alle istituzioni
La lettera si chiude con un richiamo diretto: “Abbiamo bisogno delle istituzioni, di leggi veloci che tutelino dall’antisionismo e dall’antisemitismo”. Secondo Iaria, la situazione attuale in Italia presenta dinamiche allarmanti simili a quelle degli anni ’30, con un’ostilità crescente non solo a Verona, ma anche in città come Ferrara, Milano, Napoli e Roma.
In assenza di strumenti legislativi contro la disinformazione e l’odio, la vicepresidente di AIISE sottolinea l’isolamento della comunità ebraica e la mancanza di spazi nei media per voci equilibrate e documentate. E chiude con un’amara constatazione: “Purtroppo, leggi contro l’ignoranza non si possono fare. Perché tanti, troppi, sarebbero colpevoli”.