Pensioni a Verona: forti disuguaglianze tra Comuni, cresce il rischio povertà tra gli anziani

Dai dati dello Spi Cgil emerge un divario profondo tra centro e periferie: molte pensioni sotto la soglia minima, difficoltà nell’accesso alle cure e donne penalizzate

Anziano

Nel Veronese la geografia delle pensioni disegna un quadro fatto di forti squilibri territoriali e crescenti difficoltà economiche per migliaia di anziani. È quanto emerge dall’ultima elaborazione realizzata dallo Spi Cgil Veneto sui dati del Ministero delle Finanze relativi ai redditi da pensione del 2023 (dichiarazioni 2024).

A guidare la classifica è il capoluogo Verona, dove l’importo medio lordo mensile è di 1.883 euro, ben al di sopra della media provinciale di 1.620 euro. In fondo alla graduatoria, invece, Velo Veronese si attesta come il Comune con le pensioni più basse: appena 1.107 euro lordi al mese, che al netto si traducono in circa 900 euro.

Il divario tra territori

Le pensioni più alte si concentrano nei centri urbani e in alcune aree economicamente dinamiche come Lavagno, Negrar, Peschiera del Garda, San Martino Buon Albergo e Soave. Al contrario, gli importi più bassi si registrano nelle zone montane e rurali, dove gli assegni scendono anche a un terzo della media provinciale.

Secondo Massimo Cestaro, della segreteria regionale Spi Cgil, il problema è serio: «Un assegno da 1.600 euro lordi si riduce a 1.200-1.300 euro netti, importi che non consentono una vita dignitosa senza ricorrere ai risparmi o all’indebitamento».

Le soglie della povertà e le situazioni critiche

Secondo i parametri Istat aggiornati al 2023, una coppia di anziani è considerata in povertà assoluta se vive con meno di 1.465 euro mensili in un Comune medio-grande del Veneto. Per chi vive solo, la soglia scende a 1.206 euro: molte pensioni nel Veronese non raggiungono questi livelli minimi, soprattutto nel caso delle donne vedove che spesso sopravvivono con la sola reversibilità, raramente superiore ai 1.500 euro lordi.

Il divario di genere e i 30.500 casi sotto i 1.000 euro

Il quadro si aggrava osservando la condizione delle donne pensionate, penalizzate da carriere discontinue, lavoro domestico non retribuito e impieghi part-time. In provincia di Verona sono ben 30.500 le pensionate con assegni inferiori ai 1.000 euro mensili, con una media di soli 705 euro. Un dato che riflette una fragilità sociale strutturale, aggravata dall’aumento del costo della vita.

Salute e rinunce: l’effetto più drammatico

Secondo lo Spi Cgil di Verona, guidato da Adriano Filice, una delle conseguenze più immediate di questi limiti economici è la rinuncia alle cure sanitarie. «Molti anziani evitano esami diagnostici o terapie perché non possono permettersi il ricorso alla sanità privata», spiega. Le difficoltà non riguardano solo i farmaci fuori fascia, ma soprattutto le cure odontoiatriche, spesso totalmente a carico del paziente.

A ciò si aggiunge un fenomeno sempre più frequente: la vendita della nuda proprietà dell’abitazione per ottenere liquidità. «Un trend preoccupante», osserva il sindacato, che riflette la necessità di far fronte alle spese quotidiane sacrificando i beni di famiglia.

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