“Se il mondo del profit comincia a investire nella rieducazione carceraria, allora si apre una nuova e promettente prospettiva di cambiamento sociale”. Con queste parole, l’assessora alla Sicurezza e legalità di Verona, Stefania Zivelonghi, ha commentato l’iniziativa “Investire nella rieducazione. Come il lavoro può cambiare la vita dei detenuti e della comunità”, promossa dalla Camera Penale in collaborazione con il Provveditorato del Triveneto e la Direzione della Casa Circondariale di Verona.
L’evento ha messo al centro il tema del lavoro come strumento di rieducazione e reinserimento sociale per le persone detenute, un argomento che da tempo coinvolge il mondo del non profit, ma che oggi inizia a interessare anche il settore delle imprese private.
Un cambiamento di paradigma
“Siamo abituati a vedere il non profit attivo nel supporto ai percorsi lavorativi all’interno del carcere”, ha spiegato Zivelonghi, “ma l’ingresso del profit in questo ambito è una novità che può aprire a sviluppi molto significativi”. La partecipazione del mondo imprenditoriale, secondo l’assessora, può rappresentare un punto di svolta, perché unisce la ricerca di valore sociale alla sostenibilità economica.
Il lavoro, ha ricordato Zivelonghi, porta con sé dignità, competenze e concrete possibilità di reinserimento. Tre elementi fondamentali per abbattere i tassi di recidiva, che rimangono una delle principali sfide per il sistema penitenziario e per l’intera società. Offrire un’alternativa concreta alle persone detenute, infatti, non è solo una questione di giustizia sociale, ma incide direttamente sulla sicurezza e sulla qualità della convivenza civile.
Il contributo del sistema produttivo
L’apertura del mondo profit a questi progetti può dunque generare un modello win-win, ha sottolineato l’assessora: da un lato, i detenuti ricevono una possibilità concreta di riscatto e reinserimento, dall’altro la società beneficia di una maggiore sicurezza e coesione sociale.
Zivelonghi ha voluto ringraziare la Camera Penale per la proposta dell’iniziativa e tutti i soggetti che l’hanno resa possibile, sottolineando l’importanza del dialogo tra istituzioni, operatori del sistema giustizia e imprese. In un contesto complesso come quello carcerario, la costruzione di sinergie tra pubblico, privato e terzo settore appare sempre più come una condizione necessaria per un cambiamento strutturale.
Una visione condivisa
Il convegno ha rappresentato non solo un momento di confronto tra esperienze, ma anche un’occasione per rafforzare una visione condivisa della pena come percorso di rieducazione reale, in linea con quanto previsto dalla Costituzione italiana. “Contribuire al reinserimento dei detenuti è un dovere civile”, ha ribadito l’assessora, “che va sostenuto da tutti: dallo Stato, dal volontariato e dal mondo delle imprese”.
L’interesse del settore privato verso i progetti di formazione e lavoro in carcere potrebbe rappresentare il tassello mancante per una riforma profonda del sistema penitenziario italiano, capace di coniugare sicurezza pubblica, dignità umana e responsabilità sociale.