Vini No-Lo: mercato globale in crescita e opportunità per l’Italia, ma resta il nodo reperibilità

Secondo l’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly il settore dei no e low alcohol wine crescerà del 47% in Italia entro il 2028, ma servono qualità, visibilità e strategia

Con un valore attuale di 2,4 miliardi di dollari a livello globale e una proiezione che tocca i 3,3 miliardi entro il 2028, il mercato dei No-Lo (no e low alcohol) rappresenta una delle nicchie più dinamiche del settore beverage. È quanto emerso dal convegno “Zero alcohol e le attese del mercato”, organizzato a Vinitaly e supportato dai dati dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly basati su rilevazioni Iwsr.

Un mercato in crescita, ma ancora lontano dall’Italia

I No-Lo registrano un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del +8% a valore e del +7% a volume tra il 2024 e il 2028, in netta controtendenza rispetto al vino tradizionale, che invece si attesta su valori stabili o in leggero calo. A trainare il comparto sono gli Stati Uniti, che rappresentano il 63% del mercato a valore, seguiti da Germania (10%), Regno Unito e Australia (4% ciascuna) e Francia (2%).

L’Italia, con appena lo 0,1% del valore globale, si presenta come un mercato ancora in fase embrionale: 3,3 milioni di dollari il valore attuale, ma con previsioni di crescita fino a 15 milioni nei prossimi quattro anni e un CAGR del 47,1%, segno di un potenziale ancora inespresso.

Le ragioni dietro la scelta No-Lo

Secondo Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, i driver principali della scelta sono legati a salute e stile di vita, seguiti da esigenze pratiche come la guida – menzionata dal 45% dei consumatori italiani e dal 36% di quelli statunitensi – e da una crescente curiosità verso prodotti alternativi. I low alcohol wine sembrano rispondere meglio a quest’ultima motivazione, mentre i dealcolati si impongono soprattutto come soluzione “di sicurezza”.

Il nodo culturale e il ruolo delle cantine italiane

Paolo Castelletti, segretario generale dell’Unione Italiana Vini (Uiv), ha invitato a leggere il fenomeno con lucidità: “Non è la soluzione ai problemi del vino italiano, ma può diventare un alleato per le cantine”. Il comportamento dei consumatori nei mercati più maturi lo dimostra: 7 americani su 10 che bevono vino senza alcol consumano anche vino tradizionale, e la penetrazione dei no-alcohol drinks è del 10% anche tra chi normalmente non beve vino.

In Italia, però, la situazione è meno fluida: tra gli astemi, solo il 13% consuma no-alcohol drinks, mentre tra i consumatori abituali di vino la percentuale scende al 7%. Segno che manca ancora una piena accettazione culturale e un’integrazione del prodotto nelle abitudini di consumo.

La sfida della qualità e della reperibilità

Un altro ostacolo chiave è la difficile reperibilità dei vini No-Lo, un dato che emerge chiaramente dall’indagine. Chi già consuma bevande a bassa gradazione fatica spesso a trovare alternative valide nel comparto vinicolo. La qualità sarà l’elemento decisivo, come evidenziato da Castelletti: “I No-Lo sono un’opportunità situazionale, ma sarà la qualità a fare la differenza”.

Vinitaly scommette sul segmento No-Lo

Per intercettare l’interesse crescente, Vinitaly 2025 ha dedicato uno spazio specifico alla mixology No-Lo, riscontrando grande affluenza tra operatori e pubblico. Secondo Federico Bricolo, presidente di Veronafiere, l’Osservatorio Uiv-Vinitaly sarà fondamentale per monitorare con precisione l’evoluzione del comparto in questa fase esplorativa, contribuendo a tracciare una strategia di ingresso per i produttori italiani.

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